Cronaca

IL SINDACALISTA CAPORIZZI COCCOLA UN CONDANNATO MA TACE SUL SUICIDIO PAOLILLO

Sulla storia del suicidio di Umberto Paolillo, ex agente della Polizia Penitenziaria che prestava servizio a Turi, ce ne siamo occupati sin dall’inizio, perché quel suicidio portava con se diversi interrogativi che lasciavano e probabilmente lasciano ancora, molti dubbi sul movente dell’estremo gesto del povero Paolillo. Tanto che, ancora oggi, mamma Rosanna (mamma di Paolillo), insieme agli avvocati Antonio La Scala e Laura Lieggi, continuano una battaglia giudiziaria affinchè venga fatta chiarezza sull’estremo gesto del febbraio 2021.

Oggi ci occupiamo dell’ Ispettore di Polizia Penitenziaria, Segretario regionale Uil PA Polizia Penitenziaria Puglia Stefano Caporizzi.

Un antefatto è degno di nota.

Prima della pubblicazione di questo articolo abbiamo contattato il Caporizzi affinchè potesse darci la sua versione. Il primo atteggiamento che abbiamo notato è stato di freddezza, di non collaborazione, sino a diffidarci dalla pubblicazione di foto, prese dalla sua pagina pubblica di facebook. Illustre sindacalista, come anticipato, non ci serve il suo consenso, è una pagina pubblica che tutti possono vedere. Fatta la doverosa premessa, entriamo nel vivo. All’indomani della morte di Paolillo, il Caporizzi pubblicava un post che potete leggere in basso.

Insomma, in buona sostanza, secondo il Caporizzi, gli agenti della Penitenziaria lavorano sotto stress e problemi famigliari e personali avrebbero spinto il Paolillo all’estremo gesto.

Dopo qualche giorno, lo stesso post fu rimosso dal sindacalista, che giustifica in questi termini «per rispetto alle indagini».

Rispettiamo la scelta, ma non capiamo perché un tale post, avrebbe potuto non rispettare gli inquirenti. In fondo non dice nulla di male.

Ma questo è stato l’unico post, che neanche nominava Umberto Paolillo, dopo di che il silenzio totale.

Insomma il minimo sindacale (per rimanere in tema) nulla più si è visto o sentito da parte del sindacalista.

Eppure da un responsabile regionale del sindacato Uil, ci saremmo aspettati di più ma molto di più di un semplice post.

Infatti il Caporizzi, sfoggia con orgoglio, sempre nella sua pagina social, “battaglie” fatte e vinte per difendere gli agenti: mostra energia, determinazione affinchè venga fatta giustizia.

Nelle immagini sotto possiamo leggere frasi d’amore nei confronti di un collega, difeso a spada tratta dal Caporizzi, definendolo « un amore di persona», oppure in altri post parla di “lacrime di gioia” per aver difeso il collega.

Ebbene, questo collega, è giusto che si sappia, ha ricevuto: un decreto penale di condanna per minacce; una sentenza di primo grado per lesioni nei confronti della ex moglie per averla picchiata ad otto mesi di detenzione, pena sospesa ed oggetto di appello. Insomma non proprio un amore di persona per i magistrati che lo hanno condannato.

Su questo aspetto una piccola chiosa. Ma quali provvedimenti intende adottare la dirigenza del carcere di Turi? Possono essere sufficienti queste due condanne a ritenere che un soggetto del genere può essere potenzialmente pericoloso per la società, considerando che potrebbe usare l’arma di ordinanza anche fuori dalle mura del carcere? Ci piacerebbe sapere cosa ne pensa in tal senso anche il Ministero, qualora la dirigenza del carcere nulla facesse. Dobbiamo aspettarci un morto prima di prendere provvedimenti?

Ma la cosa che ci incuriosisce di più, è perché il Caporizzi, da sindacalista, non si è unito alla famiglia Paolillo per la battaglia legale?  Perché non si interessa a fare chiarezza su una vicenda che pone molti interrogativi? Perché non vuole approfondire nulla su eventuali forme di bullismo che avrebbe subito il Paolillo da alcuni colleghi, stando anche alle diverse dichiarazioni rese sia da ex colleghi che detenuti?

Egregio Caporizzi, dove è finita la sua grinta, energia di difendere a denti stretti i suoi colleghi? Il povero Paolillo, anche da morto, non merita di essere tutelato? Infondo, era sempre e comunque un suo collega.

Tiri fuori le sue unghie come ha fatto in occasione delle minacce ricevute dal candidato sindaco del centrodestra di Bari Fabio Romito, urlando allo scandalo (giustamente) nei confronti di chi ha pronunciato la frase «Sparandoti mi daresti sollievo». Ecco se l’ha scandalizzata questa frase dovrebbe esternare la stessa indignazione nei confronti del povero Paolillo che, purtroppo si sparò davvero. Ma siamo sicuri di una sua coerenza.  

Massimo Sportelli